Nessun prodotto nel carrello
Le caratteristiche fisiche principali del mount RF sono l’ampio diametro da 54mm, la distanza di soli 20mm dalla flangia ed una connessione tra corpo ed ottica molto veloce grazie ai 12 pin. Questi dati non diranno nulla, o quasi, alla maggior parte dei fotografi, eppure sono loro a garantire non soltanto le attuali performance del sistema RF ma anche la sua potenziale crescita futura. Crescita che è stata sostenuta dal lavoro che l’azienda ha fatto nei due anni dalla sua nascita e che si è concretizzata in una lunga serie di obiettivi straordinari e nei nuovi corpi: EOS R5 ed EOS R6.
Ergonomia funzionale
Una delle cose che ho apprezzato della prima EOS R è stata l’ergonomia. Canon ha fatto centro al primo colpo introducendo la nuova serie mirrorless, realizzando una struttura solida ed un’impugnatura ampia e ben sagomata. L’esperienza, insomma, si è vista subito. Quello che non mi è piaciuto è stato il tentativo di portare delle innovazioni dove non servivano. Con la R6 si ritorna alla sostanza grazie alla ghiera dei modi fisica invece di quella digitale, un joystick per l’AF al posto della controversa barra multifunzione e la terza rotella dei parametri posteriore. Bene!
La perdita del display superiore rispetto alla EOS R è poca cosa se consideriamo i vantaggi del nuovo corpo. Inoltre ho apprezzato il pulsante Fn aggiuntivo sul frontale e la piccola sporgenza intorno allo switch on/off, che lo rende molto più comodo ed intuitivo. L’unica cosa che non mi va giù è che nel mettere la rotella dei parametri posteriore abbiano tolto il d-pad. Si può usare il joystick al suo posto ma è meno comodo per via della posizione.
A parte l’assenza del d–pad il resto l’ho trovato ottimo, così come la possibilità di personalizzare gran parte dei controlli. Ad esempio consiglio di abilitare il joystick per muovere il punto AF (per assurdo non è così di default) e io preferisco anche aprire il menu principale con il tasto SET al centro della rotella posteriore (così posso fare tutto con la mano destra). E per quanto sia ormai scontato per Canon, va fatto un plauso all’efficienza e completezza del controllo touch esteso praticamente ad ogni area, compreso l’ottimo quick menu.
Visione “adeguata”
Arrivando dalla EOS R si può notare lo schermo più piccolo della R6. Sottolineo arrivando dalla R perché in realtà è quella ad essere sopra lo standard con 3,15“ e 2.1 milioni di punti. Queste specifiche sono state acquisite dalla sorella maggiore R5 mentre la R6 scende a 3” con 1,62 milioni di punti. Alla fine sono le specifiche standard del settore, dunque non c’è niente da recriminarle, però quei 5mm in meno sulla diagonale un po’ si notano se arrivate dalla EOS R come me.
Il mirino rimane lo stesso OLED da 3,69 milioni di punti con ingrandimento 0,76x ma guadagna la frequenza di refresh a 120fps. Ormai si stanno diffondendo unità con risoluzioni superiori, come quella della R5 da 5.76 milioni di punti, però la R6 si difende abbastanza bene anche da questo punto di vista, offrendo una qualità di visione assolutamente adeguata. Si potrebbe fare un po’ di fatica con il fuoco manuale tramite il mirino ma in realtà è l’opposto perché c’è il sistema Focus Guide di Canon che offre un’assistenza all’AF davvero ottima, con un indicatore a tre frecce che collimano quando l’area selezionata è a fuoco.
Velocissimamente
La R6 migliora la velocità operativa grazie al processore DIGIC X della 1DX Mark III. In effetti risulta molto reattiva fin dall’accesione anche se rimane un minimo di delay tra lo scatto e la sua visualizzazione sullo schermo. È un po’ fastidioso più che altro perché in quell’attimo dopo il nero si rivede per un istante il live view prima di mostrare la foto catturata.
La raffica arriva fino a 12 fps con otturatore meccanico e sale a 20 con quello elettronico. Il buffer è adeguato, offrendo la possibilità di scattare per circa 20 secondi in formato RAW e per oltre un minuto in JPG, registrando quasi 1000 scatti. Numeri davvero ottimi e che la posizionano davvero molto avanti rispetto la EOS R. Da notare che con schede veloci UHS–II servono poco più di 5 secondi per svuotare il buffer completamente pieno dopo la raffica, mentre con quelle standard ce ne possono volere più di 20.
Una particolarità è che queste prestazioni arrivano a dimezzarsi quando si registra in backup su due schede. Abbiamo infatti i tanti agognati due slot di memoria, entrambi compatibili con lo standard UHS-II. Sul fronte foto questi sono configurabili a piacimento mentre nel video possiamo solo lavorare in eccedenza e non in backup.
Sensore
20 MP non sono poi molti ma neanche pochi. Ad esempio si può stampare una foto a 300dpi in formato 30 x 45 e a 150dpi si arriva più o meno ad 1 metro sul lato lungo. Inoltre un sensore full-frame con questa risoluzione offre diversi vantaggi in termini di velocità di lettura e contenimento del rumore.
Tra l’altro ho fatto alcuni test sulla nitidezza comparando R6 (20MP), R (30MP) e Sony A7R III (42MP) che mi hanno lasciato un attimo interdetto. I tre crop nella prima riga sono estratti da un’immagine scattata con il 50mm f/1,8 STM su tutti e tre i corpi, con illuminazione flash, stesso punto AF ed impostazioni 1/125 – ISO 100 – f/11. Essendo ingrandimenti al 100% le fotocamere con maggiore risoluzione mostrano un’area inferiore della foto e dovrebbero avere più dettagli.
In effetti il crop della A7R III risulta più pulito e con maggiori informazioni, ma tra EOS R ed R6 mi sembra quasi meglio la R6. Metto anche una seconda fila di ritagli effettuati dopo aver parificato con Photoshop la risoluzione delle tre immagini.
Di seguito vi propongo il mio classico test di sensibilità con luce controllata, ricordandovi che i crop dei RAW sono ottenuti con Lightroom ma riducendo a zero la riduzione del rumore, anche quella sulla crominanza che viene applicata con le impostazioni di base.
8 volte stabile
Canon non ha introdotto la stabilizzazione sul sensore nei suoi primi due modelli di mirroless full-frame ma l’ha fatto con R5 ed R6. Ed è passata da non averla affatto a definirlo l’IBIS migliore al mondo. Quando si parla di tecnologie così complesse non è facile stabilire un primato, perché c’è chi va benissimo nelle foto, chi si comporta meglio nel video, chi ha problemi con le focali più grandangolari, ecc…
Tuttavia la larghezza dell’innesto RF ha dato la possibilità a Canon di muovere maggiormanete il sensore pur rimanendo nel circolo della baionetta (ricordate i vantaggi del mount RF di cui parlavo?). Con un movimento su 5 assi, l’IBIS della R6 riesce ad offrire fino a 8 stop di compensazione totali e addirittura questi vengono confermati per alcune lenti non IS, come il 28–70mm f/2. Quando invece c’è un obiettivo già dotato di IS, l’IBIS dà un supporto aggiuntivo con 3 assi dei 5 totali. E il funzionamento del sistema è garantito dalla grande velocità di trasmission dati tra l’obiettivo ed il corpo attraverso i 12 pin del mount RF.
La resa della stabilizzazione è effettivamente molto valida, anche se non riuscirei a fare delle classifiche. In ambito foto si va bene a mano libera e questo si vede anche nel video quando si tenta di mantenere un’inquadratura stabile. Nei movimenti, però, rimane un po’ di scattosità.
Sempre a fuoco
Fa la sua comparsa sulla Canon R6 il Dual Pixel CMOS AF II, ovvero la nuova generazione di quello che è probabilmente il miglior sistema di messa a fuoco esistente. Sostanzialmente abbiamo una copertura totale del fotogramma nell’inseguimento o con il rilevamento di volti e occhi, e delle capacità in tracking che superano persino quelle della 1D X Mark III. Ed è anche superiore alla R5 in termini di sensibilità, riuscendo a mettere a fuoco fino a –6.5EV, praticamente nel buio pesto. Attivando l’AF Servo ci sono 4 diverse impostazioni tra cui scegliere e da personalizzare, oltre ad un quinta che lascia alla macchina il compito di adattarsi completamente in automatico. Forse un po’ di complessità in eccesso in questo ambito ma io lascio sempre la prima che si chiama “versatile” ed è effettivamente molto versatile.
Il riconoscimento del volto e degli occhi è stato migliorato in modo incredibile, con una resa che offre un’affidabilità che definirei totale. Grazie ad un processo di apprendimento per l’intelligenza artificiale, la EOS R6 è capace di mantenere il fuoco sul soggetto anche quando è di schiena. Inoltre l’AF continuo funziona pure sugli animali, ma dalle impostazioni possiamo dare priorità alle persone in caso di necessità. Inoltre è comodissimo avere sempre la possibilità di usare il tocco per selezionare il soggetto su cui attivare il tracking.
In ambito video questa messa a fuoco continua è quella che preferisco. Ha una resa davvero ottima sia per come mantiene il fuoco agganciato al soggetto che per la fluidità dei cambi fuoco. Se si riduce un po’ la velocità sono morbidi e naturali da sembrare mossi da un operatore. Già la EOS R è migliorata molto con gli aggiornamenti firmware ma la R6 è meno incerta e va ancora meglio. Le lenti RF serie L sono silenziosissime nella messa a fuoco ma ho trovato davvero interessante che anche il rumoroso 35mm f/1,8 IS STM Macro venga gestito con cambi fuoco lenti nel modo video risultando quasi muto.
Video per chi non fa solo video
Prendo la palla al balzo per parlare un po’ di video, anche se la R6 non è esattamente una fotocamera orientata al video. Offre delle caratteristiche tecniche molto interessanti, tra cui l’agognato 4K senza crop e con AF continuo fino a 60fps, ma ha anche alcune limitazioni importanti. Preciso intanto che in realtà un piccolo crop c’è nel 4K ma è davvero minimo, in quanto viene usato il 94% del sensore effettuando un oversampling da 5.1K.
Un primo scoglio riguarda i formati in quanto attivando il C-Log abbiamo la registrazione interna in HEVC 4:2:2 a 10 bit, ma solo e soltando questa. I file che si ottengono sono dei macigni, difficilissimi da lavorare anche per computer molto performanti. Fa ovviamente piacere che ci sia qualità ma questa combinazione di caratteristiche mette in seria difficoltà il flusso di lavoro non essendo attualmente supportata dall’accelerazione hardware delle GPU.
C’è poi il fatto che abbiamo due schede ma non possiamo registrare video in backup, che è una cosa piuttosto fastidiosa da scoprire. Ma il problema più noto e di cui avrete sicuramente sentito parlare è quello del surriscaldamento. Inizio col dire che la fotocamera ha il classico limite di registrazione di 30 min per clip e già questo può essere fastidioso ma lo è ancora di più che dopo circa 40 minuti inizi a lampeggiare l’icona del surriscaldamento e dopo circa 50 min in 4K si spenga del tutto. Questi dati variano anche in base alla temperatura, infatti un collega che vive in una città più fredda è arrivato a 56 minuti. La parte posteriore dietro lo schermo diventa anche piuttosto calda ma dopo circa 5 minuti la fotocamera si riaccende e fa registrare altri 5/10 minuti al massimo. E i numeri scendono se si passa al 4K 50/60fps.
Per farla breve, nella R6 abbiamo potenzialità ottime in termini di qualità d’immagine, di AF e colorimetria, registrando anche in C–Log, ma non la consiglierei a chi fa video. Io l’ho utilizzata con soddisfazione per alcuni b–roll da integrare con il girato principale della C200, dato che con clip brevi alternate da pause non raggiunge mai alte temperature. Non potrei però usarla come camera principale e neanche come secondo punto di inquadratura dati i limiti temporali e di surriscaldamento. Quindi può essere anche la soluzione perfetta per alcuni videomaker ma bisogna essere consapevoli dei suoi limiti. A 1080p problemi non ce ne sono, però a quel punto si perde un po’ di vantaggio rispetto la EOS R (che ha il vistoso crop 1.7x solo con il 4K).
Connessioni e autonomia
Gli sportellini di connessione sono tutti sulla sinistra della EOS R6, e sono di gomma morbida ma ruotabile. Intendo dire che non rimangono aperti ma si possono spostare dove non danno fastidio. Non è una cattiva soluzione onestamente. Nelle EOS R mi aveva dato fastidio l’insolita posizione dell’ingresso audio, che si urtava sistematicamente ruotando il display. Nella R6 è invece in alto e il più possibile verso la parte frontale, così non si urta praticamente mai.
Per il resto abbiamo USB-C che fa anche da ricarica ed alimentazione continua (molto utile), uscita audio per il monitoraggio e uscita video micro HDMI. Perché siano passati dalla mini alla micro non lo so, comunque entrambe sono parecchio più delicate della HDMI full-size e quindi vi consiglio di avere sempre almeno un cavetto di scorta.
Davvero interessanti le funzionalità wireless incluse nella R6. Infatti non troviamo solo la classica connessione punto a punto con lo smartphone ma anche la possibilità di entrare nella rete locale per usare funzionalità decisamente più avanzate. Si può configurare l’invio ad un server FTP (nella LAN o su internet) oppure agganciarsi ai principali servizi cloud.
La batteria ha mantenuto il classico formato per essere retrocompatibile ma la vesione LP–E6NH offre circa il 14% in più di carica rispetto alla precedente. L’autonomia dichiarata secondo lo stanard CIPA è di 510 scatti con lo schermo e circa 380 con il mirino, ma questi numeri sono sempre molto conservativi. In realtà si va parecchio oltre, soprattutto se si lavora con scatto continuo. Rimane un’autonomia inferiore rispetto ad una reflex professionale ma niente affatto misera. Onestamente con due batterie di queste mi sento tranquillo anche per un’intera giornata di lavoro in esterna. Volendo è anche disponibile il nuovo battery grip Canon BG–R10.